Il Trattato di Dublino

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Trattato di Dublino - aula parlamento europeo

Amici di Around the World, nell’articolo odierno ha deciso di parlare di un argomento scottante che esula dal tema viaggi di piacere e riguarda il mondo della politica, degli affari e dei rapporti tra Stati. Solo in questo caso eccezionale, non parleremo delle bellezze o degli eventi di Dublino ma bensì del famoso Trattato di Dublino di cui avrete sentito parlare milioni di volte, specialmente da qualche mese a questa parte.

La domanda che ci siamo posti è stata: ma siamo sicuri di sapere esattamente cosa sia il Trattato di Dublino e quali siano gli argomenti in esso contenuti? La nostra risposta è stata no.

In realtà sapevamo ben poco del Trattato di Dublino, se non per il fatto che riguardasse in modo diretto il trasporto dei migranti provenienti dall’Africa verso l’Europa e nel caso specifico verso le coste italiane o delle nazioni del Sud del Mediterraneo.

Perciò, se anche voi voleste capire qualcosa in più su questo spinoso argomento, di seguito troverete le risposte principali domande inerenti il Trattato di Dublino.

Cos’è e quando è stato firmato il trattato di Dublino?

È il regolamento dell’Unione europea che stabilisce criteri e meccanismi per l’esame, e l’eventuale approvazione, di una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un Paese terzo. Nasce dalle ceneri della Convenzione firmata nella capitale irlandese il 15 giugno 1990, ovvero dal primo trattato internazionale multilaterale firmato dagli allora dodici membri della Comunità europea per darsi regole comuni sull’asilo. In vigore nel 1997, è stato sostituito nel 2003 dal regolamento «Dublino II» che l’ha portato nell’ambito delle competenze dell’Ue. Una terza revisione – «Dublino III» – è stata varata nel giugno 2013. Maggiori informazioni

 

Cosa stabilisce per quanto riguarda i richiedenti asilo?

Il principio chiave è dettato dall’articolo 13. “Quando è accertato (…) che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale». In altre parole, la responsabilità dell’asilo è del Paese di primo sbarco. Ovvero: chi arriva in Italia tocca all’Italia, chi in Spagna alla Spagna e via…”

 

Quali le situazioni che hanno portato alla sigla del trattato di Dublino ?

«Nel preparare i trattati istitutivi della Cee, poi firmati a Roma nel 1957, gli Stati fondatori hanno deciso di tenere per sé una serie di politiche anche rilevanti, fra cui l’Immigrazione. Non una cosa da poco, se si pensa che solo nei primi quindici anni del secondo dopoguerra il Belgio accolse circa 200 mila italiani. Quando si arriva alla vigila del mercato unico, si pone l’esigenza di regolare l’asilo. Si tratta di evitare il turismo delle richieste, dunque stabilire che ogni straniero possa chiedere il permesso in un solo Paese. In caso di rifiuto, deve avere una seconda opportunità. È allora che si stabilisce il principio del primo approdo».

4 Fu una decisione difficile? E quali Paesi spinsero di più per arrivare all’intesa?

«Fu una decisione necessaria. Venticinque anni fa furono soprattutto i tedeschi, freschi di riunificazione ed esposti agli effetti della caduta della Cortina di Ferro, a spingere per regole precise. Oltretutto, dal gennaio 1993, nella Comunità europea s’iniziava la libera circolazione dei cittadini. La repubblica federale era già meta richiesta, anche se la domanda allora era tutta dall’Est. Per l’Italia, la Convenzione fu un campanello d’allarme. La migrazione era prevalentemente albanese e controllabile. Per il resto si lasciava spesso correre, prassi alla quale «Dublino» costrinse a mettere in parte fine.

 

Cos’è cambiato in questi anni da mettere in discussione il trattato?

«Il contesto mediterraneo, africano e mediorientale. In anni recenti la guerra in Siria, le dittature in Eritrea e nella parte centrale del continente nero, l’instabilità afghana e pachistana, le primavere arabe tradite, hanno gonfiato il flusso dei migranti che, sino a giorni non lontani, erano in prevalenze gente a caccia di un lavoro. La caduta del regime di Gheddafi ha aperto la porta libica. I popoli in fuga hanno cominciato ad arrivare in Italia e Grecia. Più recentemente, soprattutto per l’offensiva dell’Isis in Siria, si è affollata la via balcanica. Il dato è che milioni di persone fanno la fila per cercare la pace nell’Unione».

 

Cos’è che non funziona nel trattato di Dublino e perché è considerato uno strumento superato?

Anzitutto viene contestato l’obbligo del Paese di primo approdo di gestire tutti gli accessi e accogliere chi arriva, sia l’Italia, la Grecia o l’Ungheria, alfieri europei più esposti agli sbarchi e desiderosi di maggiore solidarietà. In seconda battuta, lo stesso precetto impedisce di diritto la possibilità di arrivare a un meccanismo di emergenza che conduca alla redistribuzione obbligatoria di parte dei rifugiati nei momenti di maggiore crisi, ipotesi suggerita da Francia e Germania. Berlino continua a ripetere che «Dublino» è in vigore e la ripartizione obbligatoria verrebbe a valle della sua applicazione. L’Italia ne chiede la revisione: un trattato vecchio, si fa notare, per un mondo cambiato.

 

Conclusioni

Sperando di avere chiarito le idee in merito a questo argomento tanto di moda da qualche mese a questa parte, speriamo vivamente che i problemi relativi al Trattato di Dublino possano concludersi al più presto affinché si possa trovare una soluzione valida per tutte le parti coinvolte. Ringraziandovi per l’attenzione, vi invitiamo a commentare l’articolo qualora lo abbiate trovato di vostro gradimento.

Alla prossima con i racconti delle città nel mondo!

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